In questi tempi difficili, ho trovato un angolo di pace. La chiesa greco-ortodossa – e l’annesso centro culturale – sono in Rue de Rome, una strada trafficata di Tunisi. C’è davvero tanta gente, ci passa pure il tram. Eppure, appena varcate le porte della chiesa, l’atmosfera cambia completamente. Silenzio, colori, cultura: in ogni dettaglio si riverbera qualcosa di diverso. Che sa di storia, di tradizione, di sapere profondo. La mattina di Natale ho deciso di andarci, e l’ho fatto in questo momento di impazzimento collettivo. Là si ritrovano la calma, il calore, il buon gusto, la bellezza. Una messa interamente cantata, dove lo scambio tra fedeli e officianti è scarno, in una confessione in cui il primato del Papa non è riconosciuto perché non è considerato il vicario di Cristo in terra. Una celebrazione differente da quella cui sono abituati i cattolici: non c’è dialogo tra sacerdote e uditorio, non si ragiona su Dio ma si celebra la sua potenza.
La chiesa greco-ortodossa di Tunisi, Saint-Georges, è un edificio storico, costruito tra la fine del 19esimo e l’inizio del 20esimo secolo sul sito dell’antico cimitero cristiano.
Al suo interno, la messa è celebrata in modo solenne, con molte parti riservate al canto. Anche la liturgia della parola è cantata. Sulle pareti campeggiano icone, affreschi che raccontano la vita dei santi o scene di quella di Gesù. Davanti all’altare c’è una sorta di muro in legno adornato con icone dei santi, l’iconostasi. Dietro, il santuario con l’altare. Ci sono tre aperture che separano la navata, lo spazio dei fedeli, l’iconostasi (dedicata ai celebranti) e il santuario: sono disposte in maniera simmetrica e la più grande di esse, la Porte Regale, può essere varcata soltanto dal sacerdote nel corso della funzione.
Il rito segue regole rigide: si utilizzano ceri, incensi, vesti liturgiche. Il compito del fedele è quello di allontanarsi dai pensieri e dalle fantasie della vita terrena, e di fare profondo silenzio dentro di sé. Le parole cantate devono diventare mentalità e azioni quotidiane di chi le canta.
Un altro elemento è il tempo dedicato al culto. In Occidente, spesso una messa domenicale che superi la mezz’ora dà fastidio. Nel cristianesimo ortodosso, la Divina Liturgia – cioè la messa – dura almeno un’ora e mezza. Con i riti preparatori, i tempi si allungano ulteriormente. Non è obbligatoria nei giorni festivi, perché viene vissuta non come una imposizione ma come qualcosa cui il fedele vuole fortemente prendere parte, per la sua salvezza. L’intento è quello di far coincidere, il più possibile, la liturgia con la vita quotidiana, e far sì che la messa non sia una breve parentesi settimanale in mezzo a giornate che poco hanno a che fare con il cristianesimo.
E quanto sostanzia il rito della messa non è che una anticipazione di ciò che sarà il Paradiso, nel quale – qui si insegna così – non esisterà lo scorrere del tempo, ma si vivrà un eterno presente.
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