La Medina, il forte, la marina: Mahdia è il paese dei motorini, delle biciclette e delle persone dalla pelle chiara, mi spiegano che la maggior parte della popolazione tunisina vive nell’interno, più baciata dal sole, da lì la tinta “asmar”, coleur du blè, colore del grano. Qui invece tante persone hanno la pelle chiara e tratti più europei, pur essendo indubbiamente arabi.
C’è una bellissima spiaggia, dei caffè a picco, dei gatti, una fortezza e un cimitero che guarda il mare.
Nel nostro albergo, come ovunque, ci sono misure di sicurezza particolari. Se si entra senza aver riservato, non si può entrare (pur essendo fisicamente davanti alla porta); bisogna prima telefonare per dare i propri nomi. La struttura è bellissima, di gusto arabo, con piscina e accesso al mare. Come a Sousse, anche qui d’estate c’è il pienone: quest’inverno c’era invece molta disponibilità e prezzi super abbordabili, con una clientela di affezionati, per lo più tedeschi gentili e tranquilli e un po’ in là con gli anni.
È un bell’hotel, uno di quelli che in questo periodo – in cui la Tunisia ha dovuto rimboccarsi le maniche e rialzarsi – funziona, ha la sua clientela, in alcuni periodi ha dovuto abbassare notevolmente i prezzi, ma è sopravvissuto con coraggio.
Gli ospiti sono qui nel paese per la tintarella e il mare. E a me viene una domanda: perchè i tunisini non siano altrettanto bravi, per esempio dei marocchini, a puntare non solo sull’hotel-spiaggia ma sulla bellezza, sulla loro tradizione, sui colori, sui paesaggi, strepitosi, e sulle loro meraviglie, che non mancano. Mi dicono che è già così al sud, dove il livello culturale del turismo è più alto.
I centri delle città turistiche tunisine sono invece spesso molto brutti, per poi riscattarsi con qualche monumento straordinario.
È il caso per esempio di Monastir, che si raggiunge velocemente. Il paese di per sé è un caos, poi però si raggiunge la medina El arbi, città degli arabi, e si è travolti dalla bellezza.
O, ancora più stupefacente, il Mausoleo di Bourguiba, sempre a Monastir, città natale del compianto e amatissimo padre dello stato. Si aggiunge un’esplanade curatissima (con immancabile cammello e carrozza per turisti e locali) e si entra nell’edificio, rivestito in marmo e in squisito stile tradizionale. C’è un controllo con il metal detector, e si entra in un’imponente e bellissima dimora.
Leggo su un internet: costruita a partire dal 1963, ricorda i tipici santuari islamici dedicati ai santi (zawiyya). È formata da tre cupole (due verdi e una dorata) e due minareti che segnano l’ingresso al complesso. Habib Bourguiba è stato il primo presidente della Tunisia, e anche se non è mai stato eletto dal popolo in elezioni libere, è generalmente considerato come il padre della moderna nazione. Bourguiba fu sepolto qui, come prima di lui i suoi genitori e sua moglie.
In una stanza, con lapidi molto semplici, e niente foto, i parenti di Bourguiba, messi direttamente nella nuda terra, la testa rivolta verso la Mecca, (e mai bruciare il corpo, che deve rimanere intatto, la cremazione nell’islam è vietata). In un’altra stanza i vestiti dell’ex capo di Stato, le foto con i momenti più importanti della sua vita e della sua carriera. Poi, come in una tipica dar araba, una corte con un al centro il sarcofago di marmo con il nome di Habib Bourguiba scritto in oro.
All’esterno, all’uscita, una porta in nero e oro con una scritta sulla libertà della donna: mi spiegano che il politico era molto amato dalle donne in quanto ha iniziato il percorso per la loro emancipazione, e ha gettato le basi per la modernizzazione del paese.
Rosita Ferrato
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