Non ha avuto alcuna difficoltà a sintonizzarsi sulle frequenze del pubblico del Théâtre de l’Opéra di Tunisi, il grande Yo-Yo Ma. Perché sì, i suoi genitori erano cinesi e lui è cresciuto negli Stati Uniti, dove ha anche ottenuto un diploma di laurea in antropologia insieme agli studi nella famosissima scuola d’arte e di musica Juilliard di New York, ma è nato a Parigi e la lingua francese fa parte del suo immenso bagaglio di conoscenze. E ha voluto dedicare lo straordinario concerto tenuto di fronte a un teatro stracolmo «ai tunisini e alla società tunisina, che sa vivere pienamente l’integrazione tra culture e tra generazioni». Parlando di sé non come dello straordinario esponente della musica che è, tra i più riconosciuti e prestigiosi a livello mondiale, ma come di «un artigiano che fa un lavoro manuale, di cuore e di spirito».
Un mestiere che Yo-Yo Ma custodisce e impreziosisce ogni giorno con la sua classe: divenuto celebre nel mondo grazie alla sua straordinaria tecnica esecutiva, è anche uno degli artisti più prolifici nel panorama internazionale. La sua sterminata discografia conta, difatti, oltre cento album – di questi, ben diciannove sono stati vincitori del Grammy Award. Da un lato, è un meraviglioso interprete del violoncello classico con interpretazioni di eccellenza di Bach, Beethoven, Brahms e degli autori che hanno fatto la storia della musica. Dall’altro, Yo-Yo Ma ha sempre desiderato sperimentare generi musicali più moderni come il jazz e le tradizioni musicali orientali, per avvicinare un pubblico anche più popolare alla grande musica.
Avere il più grande violoncellista del mondo a Tunisi è stata indubitabilmente una notizia. Un concerto che era già stato annunciato e poi annullato l’anno scorso, ovviamente per il covid. Yo-Yo Ma era solo sul palco, seduto, senza spartito: lui e il suo strumento sono tutt’uno. Dopo aver dedicato al pubblico e alla gente di Tunisi la prima suite, è partito con la prima nota: la più famosa di quelle scritte per violoncello solo da Bach. L’artista è stato generoso. Ha suonato per due ore di fila davanti a un pubblico soprattutto occidentale, arrivato a frotte: il teatro dell’Opera era tutto esaurito. Ha voluto dedicare una suite anche a chi ha perso una persona cara e la sua comunicazione diretta e sincera con il pubblico, in pochi minuti, è stata una scintilla che ha fatto scoppiare l’entusiasmo e l’empatia degli spettatori.
La sala splendida, lui cordiale, la sua eleganza molto sobria: c’erano tutti gli ingredienti per una serata indimenticabile. Le uniche note stonate – purtroppo – per chi ha gestito le luci in sala. Per la prima mezz’ora – la più dolce e attesa, in cui la magia del violoncello giocava con i brani più noti – la sala era illuminata. Il pubblico era nervoso, mascherato e un po’ spazientito, non si capiva il perché di quella scelta – o errore che fosse. C’erano persone in piccionaia che andavano e venivano, lasciando la porta aperta. Per chi, come colei che vi scrive, è abituata al rigore sabaudo dell’auditorium Rai – là, quando inizia il concerto si chiudono le porte e i ritardatari si arrangiano – è stato come un insulto all’artista e agli appassionati.
Ma si è trattata di una parentesi: una volta recuperata la situazione, tra sospiri di sollievo e applausi, e un sorriso di liberazione di Yo-Yo Ma, è arrivato l’agognato spegnimento degli inopportuni fari. Da lì in poi, un trionfo.
Rosita Ferrato
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