Ci sono capitata per caso. Ma per la magia che pervade Tunisi in particolare, e la vita in generale, forse di casuale non c’è proprio nulla.
Durante una passeggiata a Cartagine vedo alcune indicazioni: Tophet, Sanctuaire punique. Per sfizio le seguo, e come attirata da una calamita, arrivo davanti a un cancello che reca orari, come spesso capita qui, caotici. Non capisco se sia aperto o chiuso. Di certo, non c’è nessuno a presidiare l’ingresso. Però decido che voglio entrare, e proseguo.
Poco si intuisce di cosa sia questo posto, ma la fascinazione è grande. Dalle griglie del cancello si intravede l’interno. Sportello sguarnito, sedie vuote, forse le assenze sono dovute ai 40 gradi; la calura avrà fatto scappare visitatori e guardiani.
Spingo il cancelletto che è curiosamente aperto, entro. Sono sola. Uno spazio verde e misterioso mi si para innanzi. Vedo parecchie stele, aree che sembrano corti, un’attrazione e una energia misteriosa aleggiano nell’aria. Vorrei qualcuno che mi spiegasse ma, allo stesso modo, sono contenta di essere sola per godermi le sensazioni e un curioso senso di meraviglia.
Esploro. Avanzo fra la vegetazione rigogliosa, trovo degli spiazzi e una sorta di anfiteatro: tutto sembra evocare sacralità. Ci sono altre stele, le une vicino alle altre, ordinate. Tante.
Ci sono anche anime, in questo posto.
Ho voglia e bisogno di restare ma giro a passo veloce: il posto è piccolo ma con una geografia particolare e, insomma, ho paura di rimanerci chiusa dentro; si avvicina l’imbrunire e non mi sembra l’ideale per passare la notte. Qualcosa mi dice che sono in presenza di una specie di cimitero.
Esco e cerco su internet. Tophet. Tophet de Carthage, anche detto tophet (o tofet) di Salambo. Ecco cos’è.
Il tofet è un santuario che si trova nelle citta punico fenicie occidentali. È un’area sacra a cielo aperto dove, al suolo o sulla roccia, venivano depositate le urne contenenti i resti ridotti in cenere di bambini nati morti o deceduti prematuramente, o chissà che altro. Stele con iscrizioni a carattere votivo sono appoggiate a terra, numerosissime. Il tofet sorgeva in una zona lontana dall’abitato, vicino alla necropoli. Se ne trovano in Tunisia (a Cartagine, così come a Sousse) ma anche in altri Paesi del nord Africa, e poi in Sicilia e in Sardegna.
Un’area sacra del tofet è dedicata alle divinità fenicie: Tanit, la dea punica e libica della fertilità delle nascite, che rappresenta anche la bellezza femminile, e il dio Baal.
Un luogo fra un santuario e una necropoli, con un lato oscuro. Eh sì, perché leggendo e approfondendo scopro che questo luogo magico rivela anche delle ombre. ll temine tofet, infatti, designa originariamente un luogo vicino a Gerusalemme, sinonimo dell’inferno.
Un luogo dove si riteneva venisse praticato il sacrificio dei bambini per la protezione della dea.
La presenza all’interno delle urne di resti di bambini ha fatto ritenere plausibile l’ipotesi che il tofet fosse un luogo destinato alla pratica del sacrificio umano, in particolare dei figli primogeniti maschi delle famiglie nobili, poi ”passati per il fuoco”. Una questione legata alla religione fenicia e punica e, soprattutto, ai suoi riti. Anche fonti bibliche introducono una interpretazione macabra dei riti, di sacrifici umani; Flaubert, nel suo romanzo Salambbo del 1862, raccontava proprio questo: che a scopo sacrificale alcuni bambini venivano messi nelle braccia di Moloch, una statua imponente, e poi fatti rotolare, ancora vivi, nel fuoco. Si riteneva che questi sacrifici potessero incontrare il favore degli dèi nei periodi di siccità, di carestia o di conflitto. Dunque, quelle del tofet sono tombe; tombe di bambini, e forse sacrificati. Come possa averne ricavato delle sensazioni di pace non me lo spiego. Ne parlo con un amico, un maestro, esperto di anime. «L’essere umano ospita uno spirito, quindi in quel luogo può esserci stata sofferenza per queste creature, è vero. Ma, dal momento in cui le anime si innalzano e passano a un livello superiore, accolgono in maniera più profonda chi viene a far loro visita. Certi stimoli, quindi, li ricevono solo alcune persone: l’energia positiva la danno esclusivamente a chi ha bontà d’animo».
È un discorso, mi rendo conto, difficilmente accettabile per chi conosce solo i valori occidentali. Ma ha un suo senso. «Non è un caso – conclude ‑ che tu sia finita lì. È difficile che finiamo in posti dove c’è del marcio, o del malessere: non abbiamo quell’energia, noi attraiamo ciò che siamo. Quindi, se là dove sei stata c’è effettivamente stato un sacrificio, l’anima del defunto si è innalzata e, nel tempo, vuole continuare a offrire qualcosa di bello a chi è ancora di questo mondo. Qualcuno che lo meriti».
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