Piccole stranezze della vita: mentre il mio sarto di Torino è di Monastir, il suo omologo di Tunisi è di Marrakesh (e chi conosce un po’ il nord Africa avrà colto la distopia geografica).
Ho la fortuna di conoscerli e stimarli entrambi – professionali, oltre che aperti e divertenti – e di poter farci spesso due chiacchiere, perchè nonostante gli impegni, a certe latitudini (anche solo mentali), il tempo si trova.
Per un caffè nell’atelier di uno (indovinate quale) che subito sottolinea: “Per le finizioni, i marocchini sono imbattibili”. Lui che la passione innata per il suo il suo mestiere l’ha scoperta presto “la sartoria è un’ arte, un talento”.
Per una lunga chiacchiera in piedi, spesso con gente (piemontese e insofferente) in coda, dall’altro, che invece ha ereditato il suo mestiere dal padre, per una lunga tradizione di famiglia.
“I marocchini sono più attenti ai dettagli. Non tutti, per carità, ma se si vuole lavorare di fino, in ogni dominio, in tanti mestieri, che sia la sartoria o la costruzione delle case, il Marocco vince sulla Tunisia”.
Il torinese di Monastir sarebbe d’accordo? Lui che è di gran lunga più preciso e puntuale della maggior parte dei sarti piemontesi di mia conoscenza.
Uno, ordinato in un atelier impeccabile dai soffiti alti e imbiancati, in una viuzza tranquilla e fresca al centro di Tunisi, l’altro in una parallela caotica del capoluogo sabaudo, con il negozio stretto e ingombro di vestiti, borse e scarpe da riparare. Uno, cordiale e ospitale con i “cugini” nordafricani; l’altro, comprensivo con l’impaziente clientela locale.
Con il torinese è sempre un pretesto per parlare in tunisino. Arrivo ed esclamo: “Aslema khouya”. Buongiorno fratello. Grande entusiasmo, come se un pezzo di Tunisia fosse entrato inaspettatamente nel suo negozio. Con due sole parole. Per il resto, lui parla italiano meglio di me.
Con l’omologo marocchino l’impegno linguistico richiesto è decisamente maggiore. Parla francese ma preferisce mettermi alla prova con discorsi in arabo,“Fhetmtek?” mi capisci. A volte sì a volte no. La prima volta che sono entrata in sartoria era di pomeriggio. Arrivo: Sbah Khir, buongiorno. Con gli occhi che brillavano divertiti, e con l’aria interrogativa si è rivolto a me così: mi stavo proprio chiedendo chi fosse che saluta così di pomeriggio.
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