A Tunisi, specie se a fine giornata, capita che i venditori ambulanti diano il meglio di sé.
Sono le sei e io voglio prendermi un succoso pezzo d’ananas (qui lo vendono a fette, avvolto nel cellophane, ma volendo te lo scartano, tagliano ancora e preparano per mangiarlo sul posto).
Mi avvicino, chiedo una trance. Davanti al carretto siamo io, il venditore e due ragazze, di cui una sta mangiando la sua fetta e l’altra aspetta che le sia tagliata perche “Non riesco a mangiarlo così”, ancora incartato. Chiedo il mio pezzo, e inizia una stupenda supercazzola del venditore. Con kamama, mascherina, e che snocciola in arabo le sue proposte commerciali.
Parte da due pezzi per 3 dinari (1 costa 2), va bene, gli dico. Ringalluzzito dalla mia cedevolezza e ansioso di far fuori la merce per tornarsene a casa, vista l’ora tarda, rilancia. 4 pezzi 5 dinari.
Behi, ok, annuisco un po’ meno entusiata. “C’est très bon, mi incoraggia una delle ragazze. “Ma a casa siamo solo due” ribatto.
Pensando di aver concluso l’affare, sporgo al giovane uomo le monete da 5 dinari e lo vedo confuso.
Allora scatta la traduzione da parte di una delle due amiche. “Il n’a pas compri”, non ha capito. E neanche io, se devo essere sincera. Quindi lei fa da interprete e i pezzi proposti per 5 dinari risalutano essere 8. O 5 per 8 dinari?
Altrimenti 6 per 10 dinari! Rilancia lui. Non capisco più niente, ma la tattica confusione funziona.
“Basta, sennò mi porto a casa tutto il carretto!” protesto divertita. Mi fermo a 5 pezzi.
Siamo tutti divertiti a questo punto, soprattutto il ragazzo che può rientrare a casa contento, e anche io: l’ananas è squisito e 8 dinari non sono neanche 4 euro.
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