Come Julie Andrews nel film “The sound of music”, anche io, per tenere alto l’umore, penso alle cose che amo di più, e se mi fermo a riflettere sulla Tunisia, la terra che mi ospita per molti mesi all’anno, non è difficile mettere insieme un lista che definirei terapeutica.
La Tunisia mi rende felice….
Quando i camerieri dei caffè che frequentiamo ridono di gusto se pronuncio qualche parola in arabo.
Quando in strada dei ragazzi chiedono scusa al mio amico pensando che io abbia intercettato la parolaccia che hanno pronunciato ad alta voce, in un momento di ilarità: sono giovani, in macchina, scherzano tra loro, non li conosciamo. Dimostrano rispetto verso una donna, bello!
Quando vedo gli uomini, qui così virili, portare orgogliosamente il mishmuma, il gelsomino, dietro l’orecchio.
Quando dal terrazzo di casa mia, da cui si vedono i tetti di tutta la città, sento in lontananza i darbuka, i tamburi e gli zagarat, gli youyou delle donne nelle feste di matrimonio.
Quando il muezzin canta, richiamando alla preghiera.
Quando vedo i tetti bianchi di Tunisi dall’aereo che inizia a scendere e la luce di questa terra, il suo mare, le sue coste. È come se una cappa di pesantezza che ho nell’anima si sgravasse.
Quando nelle strade sento gli odori, i profumi, le voci, e incrocio gli occhi neri della gente.
Quando il 31 dicembre o i primi giorni di gennaio posso andare al Teatro nazionale a gustarmi il concerto di Capodanno. L’orchestra sinfonica di Tunisi e il suo direttore hanno una tradizione di mezzo secolo e nulla hanno da invidiare alle orchestre occidentali.
Quando vedo i suoi occhi neri, le ciglia lunghe e i guizzi di viva intelligenza. La sua dolcezza, il mio tormento, la sua bontà, il suo carattere.
Quando in un ristorante di Monastir ordino il pesce e mi ritrovo circondata da quattro gatti affamati.
Quando si esce in macchina per una gita fuori porta e sulle strade statali si trovano i ristoranti con i tavolini in mezzo ai prati dove mangiare il miscui, la carne di alousc, vitello, cotta sulla brace. Magari devi aspettare un po’, e intanto ti godi la campagna, una mucca in lontananza, l’aria fresca, e alla fine vieni premiato: normalmente in questi posti il cibo è ottimo.
Quando in un caffè un piccolino curioso si allontana dal tavolo dove sono seduti i suoi nonni e si apposta, in piedi ma irremovibile, dietro la sedia di un padre di famiglia lì a fianco. Lì è in corso una sorta di riunione, molto seria a quanto pare, a cui l’intruso partecipa, ascoltando interessatissimo, senza che nessuno protesti. No stress si dice qui spesso. È proprio così.
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