Sono tornata a Torino per le feste, un appuntamento annuale che suscita in me sentimenti contrastanti e, forse perché il periodo offre varie occasioni di incontro con persone che non si vedono da molto, mi sono sorpresa a riflettere sulle caratteristiche e i valori tipici delle mie amiche, conoscenti, famigliari, concittadine e sui miei, naturalmente.
La torinese in genere ama la famiglia. Ah, le piace la famiglia, e inoltre le piace che gli altri notino quanto il suo focolare domestico è un successo.
Intanto, l’aver messo su famiglia è una dimostrazione che la sua raffinata e soave persona è stata considerata sufficientemente “sceglibile” per essere impalmata da un uomo, cosa già fondamentale (e che non capita proprio a tutte).
Poi, che è stata in grado di fare dei figli, educarli, crescerli con una certa impostazione, mandarli in certe scuole, in un percorso tracciato tipicamente sabaudo. Se poi i figli sono pure belli e con l’aria aristocratica, la torinese ha fatto bingo.
Assieme alla famiglia sono compresi la cura della casa e del focolare domestico, le cene del marito, la gestione della servitù (cuoca giardiniere babysitter nel migliore dei casi), la cura degli animali domestici e incombenze varie.
Tutto questo, compreso sotto la voce/valore famiglia significa un obiettivo raggiunto, che si traduce in qualcosa da sfoggiare e di cui andare giustamente (o ingiustamente) fieri. Attenzione però, lo sfoggio alla piemontese ha le sue particolarità. E qui aprirei una parentesi importante, che sarà il fil rouge della descrizione della nostra.
L’esageruma nen. Il motto del nostro amato ex sindaco Sergio Chiamparino, esageruma nen, tipicamente piemontese, alla torinese calza a pennello. La nostra vuole distinguersi ma senza dare nell’occhio, essere elegante ma non appariscente, fare ma non esporsi; insomma, sembra sempre che debba chiedere il permesso. “Si potrà?” “E se poi…?”. La torinese teme sempre di essere sopra le righe: che sia nel vestire, nel fare, nel dire o in qualsiasi altro settore della sua vita.
Chiusa parentesi. Ma come vedrete, questo aspetto ricorrerà parecchio.
Torniamo ai valori. La torinese, ha un gran senso del dovere. Pregio o difetto che sia, a mio parere è cosa buona ma un po’ limitante. Limita infatti dall’essere pigra, sbadata, spendacciona e farfallona: un vero peccato, insomma.
Il senso del dovere imprigiona e riduce la libertà della nostra (che infatti non ha come valore la libertà, neanche agli ultimi posti) mentre il senso del dovere sarà presente in lei per tutta la vita, lo trasmetterà ai figli e ai figli dei suoi figli; insomma, non si riuscirà più a liberarsene per generazioni.
Nei casi peggiori, questa virtù carogna terrà la nostra chiusa in situazioni, vincoli che magari non le appartengono o che le vanno stretti. Nei casi migliori, la renderà affidabile ecc. ecc. tutto quanto già detto sopra. Insomma, un vero peccato.
In ogni caso, assieme al senso del dovere arriverà puntuale un’altra bestia nera: il senso di colpa.
Che sia l’atmosfera della città, un tempo stretta fra chiese e caserme (v. paragrafo apposito) o l’educazione ricevuta (se della buona borghesia, la torinese già da piccola sarà spedita dalle suore o in qualche istituto religioso), la nostra avrà sensi di colpa a tutto andare.
Che sia per un vestito o una borsa di troppo (“Oggi ho davvero esagerato!”), un capriccio che si è regalato, un lieve o più grande sforamento al tetto della carta di credito, qualche strappo alla rigida dieta che si era imposta, un hotel di lusso o qualche concessione ancora più sfiziosa (strizzatina d’occhio!) la torinese se la godrà poco. Ebbene sì, riuscirà a sentirsi in colpa perfino durante il godimento, come se sotto sotto fosse sicura che una punizione divina o di qualche altro tipo potesse incombere e colpire per smorzare i suoi peccatucci (e i suoi entusiasmi). Eh sì, si sentirà in colpa, eh già, avrà senso del dovere, sì, … fino alla volta successiva.
Sì perché poi, si vive una volta sola, si dirà per giustificarsi, e il peccatuccio, che sia di gola o di altra natura, verrà per fortuna ripetuto all’infinito. Perché sotto sotto, e sotto un’apparenza a volte un po’ severa, la torinese, oltre ad essere contraddittoria, è intelligente e al momento giusto riesce a lasciarsi andare.
La fedeltà. La torinese è un tipo fedele. Che sia al fidanzato, al marito o al parrucchiere, la nostra dimostra un attaccamento longevo. Anche qui, almeno in apparenza. Sarà fedele al suo compagno di vita, che sia tra le mura domestiche o che si occupi della sua acconciatura (sempre la stessa nei secoli dei secoli); sarà fedele alle tradizioni di famiglia, che sia l’appartenenza ad un circolo sportivo o alla scuola che farà frequentare ai figli (costosi istituti religiosi spesso, che vantano generazioni e generazioni di rampolli con lo stesso cognome), alla frequentazione dei luoghi di villeggiatura, agli amici, alle frequentazioni di una vita.
Fino a che, a mettere in discussione le tradizioni di famiglia arriverà la pecora nera, una voce fuori dal coro, qualcuno, in genere una donna, che come un fulmine a ciel sereno spazzerà via tutto, scapperà, viaggerà, romperà le tradizioni. E avrà come primo valore la libertà.
La fede. la nostra è moderatamente religiosa, diciamo che più che una vera fede ha una religiosità delle apparenze. La domenica andrà a messa per salutare parenti e amici, sfoggiare i rampolli, prendere qualche utile contatto mondano. Non è escluso poi che nel corso della vita sviluppi un autentico credo, ma tutt’al più la religiosità della nostra avrà modo di esprimersi in messe domenicali e lodevoli opere di bene (la beneficienza, le dame di San Vincenzo, e via così), un modo comunque per fare qualcosa per il prossimo.
In generale, la religiosità della torinese (cattolica) sarà salda e inossidabile; pur essendo tiepida non vacillerà mai, niente ripensamenti, niente conversioni strane, la nostra percorrerà tutte le tappe canoniche, stagione per stagione della vita, e la stessa cosa succederà ai suoi figli e ai figli dei suoi figli: battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio, funerale. Il tutto condito di socialità. D’obbligo quindi per ogni occorrenza, la scelta della tenuta adatta; perché si sa: ogni cerimonia è un’occasione, e un momento comunque di mondanità.
La sincerità: torinesi falsi e cortesi? il famoso detto vale anche per le signore? Dovrei chiedere alle mie amiche quello che veramente pensano di me! Battute a parte, non saprei. Io direi piuttosto che magari tutta questa cortesia almeno inizialmente non la dimostrano, che anzi se con te non vogliono avere a che fare, si vede eccome. Però poi, se gli vai a genio, se arrivi a conoscerle davvero, ti aprono il loro cuore e sono tue per la vita.
L’amore: l’amore è un valore? L’amore dovrebbe essere uno sfizio o comunque una piacevolezza, ma le torinesi lo prendono molto sul serio. Intanto la ricerca di un fidanzato: a volte sarà la madre della giovane torinese ad iniziare a preoccuparsene, e al compimento del quindicesimo anno alla nostra verranno proposti partiti su partiti, in genere iniziando dai figli degli amici (magari scapestrati, poco affidabili e totalmente matti, ma con i genitori “bene”). Una volta scongiurata la paura che la ragazza torinese rimanga zitella (vurria mai, che dio ce ne scampi!), il fidanzato reperito nella fase dell’adolescenza potrà essere cambiato (ma non troppe volte per carità) o rimanere immutato fino ad arrivare all’età giusta per il matrimonio e diventare IL marito.
Per la scelta del buon partito, si è già detto che le famiglie degli amici sono la prima scelta. Quindi si cadrà bene su stirpi di avvocati, notai architetti, medici, ecc. ecc.
Se invece la giovane torinese porterà a casa un outsider, un ragazzo fuori dal giro, che faccia un mestiere diverso da quelli canonici, che sia di un altro ceto sociale o peggio sia straniero (a meno che non sia il figlio di un emiro, ma anche in quel caso sarà guardato con sospetto), o “extra comunitario” (che potrebbe anche solo essere un giovane abitante a pochi chilometri da Torino), nelle famiglie ci sarà grande scompiglio. Litigate, momenti di grandi musi, minacce di diseredare la rampolla ribelle; poi però, solitamente si arriverà ad accettare e ad apprezzare il “diverso”, che anzi porterà all’interno della famiglia una bella ventata di aria fresca.
Il risparmio. La torinese è risparmiosa. Oculata. Cauta. Attenta. Previdente. In altre parole: un po’ tirchia. E non si capisce perché, dato che il più delle volte non le manca niente per fare la bella vita.
Anche in questa occasione, acerrima rivale della cugina milanese (la quale invece ostenta anche quando non potrebbe), la torinese mostra poco, sfoggia niente, vive quell’al di sotto della sue possibilità, quel basso profilo tipicamente sabaudo anche quando potrebbe godersela molto di più.
Avrà allora una macchina decorosa sì, ma non troppo vistosa, idem per quanto riguarda i gioielli, gli abiti (firmati sì, ma non troppo, “altrimenti diventa volgare!”), gli status symbol (niente villa hollywoodiana ma una più modesta casa di campagna, niente motoscafo a Portofino ma una più piccola e molto più chic barca a vela sulle spiagge della Liguria di Ponente). E mentre la sciura milanese sarà elegantissima, sfoggerà Rolex, macchinoni, Porsche, cappotti ornati di colli di pellicce di animali di specie estinte, solitari e parlerà ogni tre per due dei suoi successi, la cugina piemontese rimarrà sempre un tono sotto. La pelliccia sarà ancora quindi quella di sua mamma (rimodernata, per carità: e perché dare via un capo quasi nuovo che va ancora benissimo), la sua splendida figlia sarà da lei definita “carina, sì, ma niente di che”, la sua tenuta in collina, nascosta dagli alberi “bella sì, ma un po’ délabré”, e così via per i suoi successi, mai decantati o spiattellati ma tenuti segreti per modestia o comunque ridimensionati.
La torinese è piena di contraddizioni. Eccone ancora qualcuna: la collezione d’arte, il quadro prezioso non saranno esibiti o mostrati agli amici, ma tenuti in gran segreto, chiusi nelle pareti domestiche o quelle fredde del cavò, perché vurria mai che poi qualcuno pensi che mi do delle arie (o che attiri battaglioni di ladri). La vita della torinese insomma, sarà all’insegna della modestia, anche se si farà poi volentieri spennare da negozianti poco onesti (quale il verduriere sotto casa, caro come un gioielliere o l’antiquario di fiducia o la signora della sua boutique preferita: il primo tenterà di rifilarle dei bidoni, il secondo pure, la terza anche).
La torinese, in varie occasioni, darà dimostrazione di modestia, ma anche di un pizzico di graziosa follia: potrà portarsi il panino da addentare sulla panchina di un giardino dopo aver terminato l’appuntamento annuale con fiscalista o il suo consulente bancario, che le ha appena detto che le sue azioni stanno volando; e nei viaggi in aereo treno ecc. potrà stare scomodissima in seconda classe “mimetizzandosi con la plebe” per avere un contatto con il mondo, pur potendosi permettere la prima; indosserà della biancheria intima datata pur avendo completini della Perla (il top di gamma) ancora confezionati nel cassetto: li tiene per occasioni speciali; girerà con una borsa Vuitton taroccata pur potendosi permettere un originale e con i calzini e la canottiera bucati perché le sembra che si possano ancora mettere.
La torinese è così: non vuole dare nell’occhio, poi a spendere troppo si sentirebbe in colpa, non vuole attirare l’invidia altrui, è stata abituata in questo modo. Peccato che la vita passa, e la sua, con tutte le carte in regola, potrebbe essere un’esistenza più ricca e sicuramente più a colori!
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