Nei segreti della medina di Tunisi – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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Nei segreti della medina di Tunisi

TUNISI – Il Cafè El Enba (che significa “Caffè della vigna”) è un angolo nascosto. «Nascosto?» Ride Mohamed Alì, che conosce questi vicoli come il palmo della sua mano. Sì, nascosto, per i meno esperti della medina tunisina è ancora un posto da conquistare. Il locale ha questo nome perché è in un nahej (una via) stretta, i tavolini sono sgabelli, coperti da tappeti colorati, i posti a sedere sono panche allineate lungo i muri irregolari, e il tetto sopra la testa è una fitta vite che d’estate ripara dai raggi del sole.
Si comanda la consumazione; volendo, ci si porta la colazione comprata nei chioschi vicini (ad esempio un bel panino con burro, marmellata e shamia – pasta di sesamo, zucchero, pistacchi…) e ci si accomoda. I clienti sono più che altro tunisini, è un posto tranquillo, dove stare e chiacchierare. Proprio lì, varcando una delle porte di questo vicoletto, si trova un artigiano, un tessitore. È dietro una porta azzurra in metallo, che si apre appena. Affacciandosi, si trova immediatamente la barriera di un
soppalco angusto: è tutto addossato, misterioso. Mohamed Alì è già su. La sua testa si sporge, fa segno di salire: sulla destra c’è un’arrampicata, breve ma ripida, su una scaletta a pioli in legno. Con cautela si monta su, e il brivido ricompensa con l’affaccio su un mondo di sapienza, fatato.

È la bottega dell’artigiano che da decenni lavora la seta: un telaio più grande, uno più ridotto, a seconda dei pezzi, occupano quasi tutto lo spazio. Per sedersi e trovare la propria collocazione, senza dare fastidio a chi lavora, si è costretti a passare sotto i fili distesi, ci si accovaccia, preoccupati di non rovinare un lavoro prezioso. Fili rossi, fili oro e argento, rocchetti gialli, verdi, a seconda della commessa. Trovo una piccola sedia azzurra, mi accomodo lì, l’artigiano si toglie le scarpe, si muove nel suo laboratorio, sale e scende i gradini con l’agilità di un gatto. «Io sono uno dei più giovani che fanno ancora questo mestiere»: Mustapha Maherzi è un bel giovanotto di 60 anni, che racconta la sua storia. Specialista nella tessitura della seta, ha iniziato prestissimo, a 6 anni: quando non andava a scuola, si defilava dal vicino che era tessitore, e piano piano imparava un’arte. A 20 anni ha messo su la sua bottega e ha cominciato a prendere commesse per abiti tradizionali, foulard, vestiti per matrimoni. A Tunisi, ma soprattutto per la regione costiera del Sahel (Sousse, Ksar, Helal, Mahdia, Djerba ecc.), e lui, per ogni zona, sa quali sono i costumi tradizionali, come sono fatti i pezzi e i colori. È una ricchezza fatta di complessità, per vestiti minuziosamente confezionati, composti da pezzi di dimensioni differenti. Ognuno richiede un’abilità diversa e il medesimo tessuto: la seta. «È un lavoro su commissione, nel tempo la richiesta è calata, i tempi sono cambiati, la concorrenza con merci meno care (e molto meno pregiate) come quelle provenienti dalla Cina – che nella medina ormai imperversano – hanno reso questi mestieri sempre più rari». Ma non è l’unico crucci del tessitore «I giovani ormai non ci si mettono neanche, neppure mio figlio ha più voglia di seguire le mie orme. Le nuove generazioni mi prendono in giro – sorride – perché sgobbo tutto il giorno. Ma questo è un lavoro per sua natura faticoso, che richiede molto impegno».
Restiamo un po’ con lui. ci mostra come si fa, come si muovono i pedali, come si maneggiano gli attrezzi del suo difficile e prezioso mestiere. È entusiasta, lavora con un’energia invidiabile, una maestria acquisita in anni. È complesso, il suo mestiere, è un’arte. Che incanta e, purtroppo, sta scomparendo.

Reportage pubblicato sul numero di agosto 2019 del Corriere di Tunisi;

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