Rainer Maria Rilke, Henri Michaux, Jorge Luis Borges, Pasolini, Moravia e tanti altri. L’atelier d’écriture dell’Institut Français de Tunisie
non è solo un laboratorio di scrittura, è una autentica miniera d’oro.
D’oro letterario. Che si scopre, si riscopre, attraverso autori sempre
citati e mai davvero letti, spesso autori della tradizione francese,
quindi mai approfonditi.
Parlo per me. Italiana, partecipante ad un corso di scrittura creativa
in francese, scrittrice quindi curiosa e desiderosa di partecipare con
gli strumenti a mia disposizione, allieva con un limite: dover scrivere
ed esprimersi in un’altra lingua. La verità è che nonostante tutto mi
sono ritrovata ancora più immersa, più partecipe e più sorprendentemente
attiva in un contesto così stimolante e impegnativo. L’atelier di
scrittura potrebbe essere come una boutique di lusso, in cui vengono
proposti e illustrati esempi inarrivabili ma imitabili, in cui si gioca,
seriamente, con le parole, ci si confronta, ci si mette alla prova. Si
migliora, grazie alla ricchezza di quello che viene proposto.
Dunque spazio agli autori, ai grandi classici, ma ascoltare solamente sarebbe troppo facile. Dopo l’esempio di penne illustri, sono i partecipanti a mettersi in gioco. Così: Écrire. Scrivere. Perché scrivere. Da Il fait un temps de chien di Charles Juliet ci si ispira e si inventano nuovi modi per esprimersi ed esprimere una necessità, per “sottrarre degli istanti all’erosione del tempo”. “Scrivere per vivere meglio. Meglio partecipare alla vita. Imparare ad amare meglio”. Per qualcuno scrivere è vivere, non morire, non dimenticare istanti preziosi, nuove formule che nascono da grandi autori. E che si possono captare e da esse avere nuovi spunti. Di scrittura e di vita. O anche così: Jorge Luis Borges “Prèfaces avec un prèface aux préfaces” ovvero una serie di perché. Esistenziali, che possono toccare tutti gli ambiti, andando a scovare quello che si nasconde o è manifesto in ognuno. I perché di Borges, i nostri perché. E questi sono solo alcuni passaggi, degli esempi, ma nelle 6 ore settimanali di laboratorio all’Institut Francais de Tunisie c’è molto di più. Si può leggere un autore, interrogarsi, si scrive e si legge, ad alta voce, ascoltandosi, facendosi ascoltare, in un esercizio e in un arricchimento che per una scrittrice, una giornalista o più semplicemente per un’anima, è oro puro.
Marianne Catzaras, nata in Tunisia da genitori greci, è artista e fotografa, docente all’Atelier di scrittura di Tunisi.
Come nasce l’idea dell’atelier?
L’idea ovviamente non mi appartiene, rientra nella continuità di questo
fenomeno che è nato negli Stati Uniti nel dopoguerra. Gli atelier di
scrittura erano luoghi che si occupavano degli insuccessi scolastici. Il
fallimento nell’apprendimento non esiste, bisogna dargli un’altra base,
un’altra struttura. Degli scrittori hanno quindi sostituito i
professori, degli animatori hanno aperto spazi di creatività. Gli
atelier sono delle scuole diverse, si potrebbe dire per gli esclusi, i
marginali. Esistono poi diverse correnti. È una lunga storia: sono
luoghi di scrittura dove educatori, professori, accompagnatori, lavorano
insieme.
Chi partecipa ai corsi?
Il pubblico è eterogeneo. C’è chi ha paura della pagina bianca e pensa
di poterla “domare” con un conduttore e delle proposte di scrittura; chi
invece ha bisogno di essere guidato Un momento dell’atelier di
scrittura nel testo, orientato, “corretto” (anche se è un termine che
non amo molto). Si organizzano degli atelier anche nelle prigioni, negli
ospedali, nelle strutture scolastiche, nei teatri, in strada…. vi
lascio immaginare quindi quanto il pubblico sia diversificato. Ai miei
corsi, stranamente, la maggioranza dei partecipanti è composta da donne.
Non ho mai capito perché.
Come si vive l’atelier?
Gli atelier possono avere diversi approcci: ci sono quelli liberi dove i
partecipanti sono messi come in immersione, li si tuffa in un odore, in
un suono, in una musica e devono scrivere le loro sensazioni. Poi c’è
un altro tipo di atelier, quello che passa dalla biblioteca: si legge,
ci si nutre di testi in relazione alla tematica su cui ci si concentra.
Per esempio, se si lavora sull’autobiografia, si leggono dei brani dalle
Confessioni di Rousseau, Marguerite Yourcenar e anche Avenue de France
di Colette Fellous. Poi si dà una proposta di scrittura, molto semplice,
sul ricordo, sulla memoria. C’è un tempo di scrittura, un tempo di
lettura, e nel corso delle sessioni, ognuno costruisce la propria
narrazione. Si esplorano così sia i testi degli altri che i propri.
Testi di teatro, poemi, saggi, estratti di romanzi, la curiosità dei
partecipanti è ogni giorno un po’ più grande. È un’esperienza
straordinaria fatta di incontri. E si si prende confidenza in se stessi,
questa è la cosa fondamentale.
Un ricordo particolare legato a questo luogo?
Un “souvenir d’atelier”? La sua domanda mi fa venir voglia di
scrivere…Ricordi d’atelier, come un carnet de voyage. Ho fatto
pubblicare delle opere, dei libri, dei testi in riviste, si sono
organizzati anche dei recital teatrali. Alcuni testi ascoltati e letti
sono testi d’autore, le assicuro. Alcuni hanno pubblicato dei libri. Poi
il pubblico si è diversificato: un magistrato, uno scrittore, una
fotografa, una liceale, un’attrice, un contabile, una giornalista;
provenienti da orizzonti differenti, da lingue madri diverse. Si
raccolgono insieme dei frammenti e si costruisce insieme un’opera. Ci
sono dei momenti di grande emozione. È un viaggio che si condivide, una
traversata insieme.
A cosa serve un atelier?
Mio dio, è come chiedere a cosa serve un libro! un atelier suscita il desiderio di scrivere, di leggere, di essere creativi, di imparare una lingua in modo diverso rispetto ai metodi noiosi che imperversano ancora. Si rielabora il racconto, la leggenda, il testo, la scrittura. Ma sono anche dei collegamenti attivi per la lettura, dei luoghi di dialogo tra le discipline, dei luoghi di meditazione. Significa non avere più soggezione verso l’apprendimento, e verso la pagina. Imparare rende umani.
Di Rosita Ferrato per Il Corriere di Tunisi – Corriere Euromediterraneo – N° 187 (Nuova Serie) Maggio 2019 – pag 29, 30 | SCARICA L’IMPAGINATO
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