A volte scrivere è necessario, dà energia, ricchezza, forza. Altre volte invece è un medicinale, perché ci sono cose che si devono raccontare. A se stessi prima di tutto, buttarle su un foglio per vederle meglio, prendere le distanze, poter eventualmente appallottolare quei fogli per sempre, odiarli e infine buttarli via. Oppure con rimpianto metterli in un cassetto, il cassetto dei sogni, dei desideri inespressi e mai realizzati. Un cassetto che nel tempo prende muffa e marcisce. Ma basta aprirlo una volta, magari dopo anni, per restituire freschezza.
Allora può darsi che ti facciano sorridere, quei fogli, quei personaggi, quelle vicende, o magari ridere, che l’amarezza o altri sentimenti che stavano rinchiusi siano nel frattempo spariti o si siano liberati fino ad esaurirsi. Come se appartenessero ormai a qualcun altro.
E allora si abbia voglia di riviverli, quei fatti, diversamente, con leggerezza e più saggezza, e magari di raccontarli agli altri.
Così è nato L’amante siriano.
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