“Questa sera anche io voglio diventare una voce scomoda”: queste le parole con cui il cameramen siriano Raafat Alomar Alghanim ha iniziato il suo intervento, prima di iniziare a raccontare al pubblico la sua storia.
Parlare di libertà di stampa in Siria è difficile, come comprendere ciò che sta succedendo nel lungo conflitto in questo martoriato paese, da oltre mezzo secolo privato dei più elementari diritti da un regime violento e repressivo.
Con giornalisti testimoni e con i reporter siriani Shiyar Khaleal e Raafat Alomar Alghanim, esiliati e oggi rifugiati presso la Maison des Journalistes, ci abbiamo provato. E abbiamo fatto, credo, un buon lavoro.
Voci scomode 2017 è stata una giornata dedicata all’approfondimento di ciò che accade in Siria: un conflitto, tante guerre, la libertà di stampa negata. Due i momenti di confronto: la mattina all’università con gli studenti, e la sera una tavola rotonda con gli ospiti siriani. Dalle loro voci prendono forma i racconti di chi quella libertà negata l’ha vissuta e pagata, in un modo o nell’altro, con la vita. E un conto è leggerne sui libri, un altro ascoltarli da chi ti guarda negli occhi.
Ogni anno noi del Caffè del Giornalisti ospitiamo la libertà di stampa in esilio; ogni anno mi chiedo se abbia senso Voci scomode, se davvero possa cambiare qualcosa; poi quando sento le testimonianze di giornalisti coraggiosi, immediatamente il senso lo ritrovo: è dare la voce a chi fa fatica a esprimersi, diventa megafono di chi la propria voce ha dovuto spegnerla, chi ha dovuto autocensurarsi, chi ha avuto la forza di parlare sapendo che il corso della propria esistenza sarebbe cambiato per sempre.
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