Il mio viaggio di quando arrivai per mare contina a Sfax.
Di questa “capitale du sud” non ho un ricordo preciso, vi ho passato troppo poco tempo. E’ grande, caotica, con qualche edificio e museo strepitoso (sempre bellissima la medina), ma l’abbiamo visitata in poche ore. La preoccupazione infatti era di tornare a Mahdia con la luce, ovvero per non dover guidare con il buio. Spiego: le statali in Tunisia sono molto pittoresche, ma dopo qualche ora, e quando la stanchezza si fa sentire, diventano un vero incubo.
Les Dudà
In alcuni tratti, si percorrono delle belle parate di palme e ulivi dove la strada è abbastanza buona; il limite è 50 o 70 km/h, te la puoi anche cavare con 90 o 100. Ma questi momenti vengono subito interrotti: dal nulla spunta un paese, e con esso limitazioni di velocità e cunette ovunque. Les Dudà. (questo il suono del termine arabo per dire cunetta), segnali di 30 km/h e speed bumping di grandezza diversa, grandi, piccoli o grandissimi. Alcuni sono veri e propri colossi, che se non li vedi puoi sfasciare l’auto come niente, mentre altri sono solo piccole segnalazioni.
“Tantissime” persone, dopo la rivoluzione, se le sono costruite autonomamente davanti a casa, mi spiega il mio compagno di viaggio – quindi possono spuntare ovunque. Ci sono quindi quelle “ufficiali”, segnalate, e quelle “abusive”, di cui proprio, a volte, non ti accorgi! Dunque, gente che per avere davanti a casa una circolazione più silenziosa, si costruisce delle cunette: geniale! Peccato che in troppi abbiano avuto la stessa idea, e ora ci sono cunette ovunque, e non segnalate!
Pecora
Nelle strade, ad esempio in quella che dà su Sfax porta a Mahdia, ci sono tantissimi villaggi. Lungo i percorsi principali, pecore legate lì tutto il giorno stanno ad indicare che si vende carne di pecora appunto, o l’animale intero.
“Fermiamoci lì” è stata l’idea del mio compagno di viaggio “così mangi qualcosa di arabo”. Lì, con il belare continuo di quel povero animale? Ma la fame ha prevalso sulla pietà, e così ci siamo fermati per mangiare mèchouia, di montone appunto.
Sistemati sul ciglio della strada, ci hanno pulito le sedie in plastica e il tavolo; a servire, una famiglia gentilissima, padre e figlio. Niente posate, ci si arrangia, si mangia alla araba.
Il méchouia è un procedimento di cottura sulle braci, è molto semplice, solleva molto fumo, (chi cucina, deve ventilare continuamente perché la carne si abbrustolisca ma non si bruci). È deliziosa. Condita con limone solamente, accompagnata da un’insalata tunisina e qualche salsa (harissa e maionese), acqua da bere, e via! Ci hanno portato anche delle zaituna, delle olive, delle loro piante, ancora un po’ poco mature, ci hanno avvertito.
Ho chiesto una toilette. Non c’era. Panico. Un maschio viaggiatore può sempre avventurarsi nei campi, ma una donna? La gentilezza di queste persone mi ha toccato. “Una ragazzina verrà ad accompagnarla da noi, a casa nostra” mi hanno detto, venuti a conoscenza del problema. È così è stato. Una jeune fille, dalla pelle color ambra e gli occhi neri e gentili, mi ha portata in una casa lì vicino, per usare la loro sala da bagno. Non ha detto una parola, tenerissima, dolce, educata. Poi mi ha riaccompagnata, ho chiesto al mio compagno se dovessi dare loro qualcosa per il disturbo, mi ha detto di no. Le avrei dato un bacio, per ringraziarla ma forse era fuori luogo.
A questo punto, rimaneva il problema della pecora. Legata tutto il giorno a una cassetta per una zampa. Ha belato tutto il tempo, povera bestia. E mangiare lì, con quel suono (e mangiare tra l’altro forse qualche suo parente!) è stato davvero difficile. È vero è ipocrisia. Ci si abitua, poi ci si ripensa. E ci si riabitua e ci si ripensa. È un paese così, “c’est la vie”, dicono spesso qua. Così è la vita.
Dimenticavo: in quel luogo così strano per i miei standard, mi sono ritrovata con una tribù di gatti attorno. Adoro i gatti e spesso do loro da mangiare, dato che si mangia quasi sempre fuori (questo fine anno la Tunisia ha avuto temperature incredibilmente miti, tanto che a El Jem i primi di gennaio abbiamo avuto addirittura 27 gradi).
Inizio a dare un boccone di carne ad un micio e me lo faccio amico (lo so, è solo per il tempo di un pranzo, ma tant’è!), allora me ne è arriva un altro, poi un altro, poi n altro ancora. Aiuto!
Alla fine dell’ottimo pranzo siamo scappati, lasciando al loro destino 4 gatti e una pecora.
Rosita Ferrato
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