E’ una giornata soleggiata dalle temperature miti e il cielo terso. La bella stagione è arrivata, e nella città antica, le voci e i suoni si sono fatti più alte, quasi che qui la città senta l’inizio dell’estate. Dopo una lunga intervista sulla situazione del paese, la docente e autrice del libro “Una città una rivoluzione. Tunisi e la riconquista dello spazio pubblico” Chiara Sebastiani ed io ci meritiamo un momento di relax. Usciamo allora nella Medina ed entriamo in un caffè.
E’ un locale aperto, come un bazar, nel cuore del souk. Ha morbidi divani, spazi dove si può stare separati gli uni dagli altri; la musica è piacevole, anche se abbastanza alta. Si può fumare e ci adagia sui comodi cuscini (di comodi divani).
L’arrivo di due donne sole non suscita nessunissima reazione. Ci installiamo e ordiniamo. Su un vassoio argentato, servito in un bicchiere di vetro, per me arriva un tè con i pinoli, una specialità di qua, molto zuccherata.
Mi guardo intorno: la clientela è diversa, ci sono coppie giovani, uomini anziani, famiglie. Ma non si diceva che i caffè sono luoghi per soli uomini? Chiedo alla mia compagna. Forse allora, azzardo, siamo in un salon de thè. “Proprio così”, risponde lei.
Ma come capire la differenza? Chiara sorseggia il suo caffè (il direct, una sorta di macchiato, anch’esso servito in un bicchiere), e a suo agio mi dice: “In un posto così mi posso sedere e passarci una mattinata” . Lei che Tunisi viene molto spesso, qui è quasi come a casa. “Nel mondo arabo musulmano mediterraneo e mediorientale – inizia a raccontare – il caffè è un’istituzione caratteristica. È sempre stato un luogo di socialità e uno spazio politico: un luogo dove ci si scambiano informazioni e si discutono i fatti del giorno”. “Ieri- aggiunge ironica – ho pranzato in una piccola bettola frequentata da giornalisti e politici che in genere sono lì giusto per sentire cosa si dice”.
Del resto, anche per noi europei e italiani il caffè, come ci ricorda Jurgen Habermas, il caffè ha tradizioni di luogo di discussione e di elaborazione di opinione pubblica, specie nel ‘700. Qui a Tunisi, è stato un luogo spesso controllato dalla Polizia: sia nel periodo coloniale che successivamente, in quanto posto di aggregazione politica da tenere d’occhio”.
E dopo la rivoluzione? “Il cambiamento avvenuto la notte del 14 gennaio 2011 è subito emerso: dal giorno dopo, al caffè finalmente si poteva parlare senza preoccuparsi se quello seduto accanto poteva essere un informatore della Polizia! Ed è così che la gente si è riappropriata di questo spazio pubblico, dove si può stare tutto il giorno, anche senza ordinare nulla; nei quartieri popolari di Tunisi ci sono caffè dappertutto, e ce ne sono molti anche nelle città più piccole e nei paesi”.
Scherza Sebastiani: “C’è chi dice che un quartiere nuovo nasce quando si costruiscono due palazzi e un caffè!”.
Quale è il problema però? Dal mio punto di vista occidentale, è che praticamente i caffè sono riservati agli uomini. La Tunisia per legge non vieta alcuno spazio alle donne, ma sono loro che non ci vanno! Per la maggior parte delle donne dei ceti popolari, infatti, ciò non costituisce un gran problema: si incontrano in casa o all’hammam, o al mercato a fare compere, e non hanno voglia né bisogno di andare al caffè, dove spesso si parla di politica, argomento che a loro, anche se hanno studiato o sono addirittura laureate, non interessa (tranne che alle appartenenti alle èlite, civilmente impegnate).
Dal punto di vista degli uomini, questa esclusione esprime la complementarietà dei sessi: la casa è il dominio delle donne e dei bambini, e gli uomini stanno fuori, e fuori si ritrovano, vecchi e giovani, sia che lavorino o meno. Anche chi è disoccupato (come sempre più accade in questo periodo di crisi), in casa comunque non può stare: il caffè è così diventato il rifugio dell’uomo, anche quando, e forse soprattutto, non riesce a trovare lavoro e a formarsi una famiglia (e così la sua virilità è messa alla prova, oltre che da considerazioni femministe, anche da un ruolo sociale che non riesce a svolgere)”.
E per chi vuole un luogo non frequentato solo da uomini? “Per una frequentazione mista, rimangono i salons de thè, più rari e più cari, dove non si servono alcolici, come del resto nei caffé. Qui si possono gustare anche dei dolci, ecc.
E così Chiara Sebastiani risponde alla mia domanda iniziale. Ma io allora li conosco, i salon de thè, ribatto. In quartieri chic come Ennasr, ne ho visti diversi, posti che possono ricordare un bel bar di una città italiana o europea. Sono come i nostri caffè, quelli frequentati da tutti. Più o meno eleganti, alcuni anche belli, spesso con uno o più teleschermi appesi alle pareti per seguire le partite di calcio o i videoclip di musica araba (con ottimi cantanti, per lo più egiziani o libanesi), e dei tavolini. Il mattino alcuni offrono anche brioches, ma non mi è ancora successo di vedere delle vetrinette con esposti panini e dolcini; il menu il più delle volte offre bevande: caffè, tè, spremute, il direct o il capucine, ovvero una sorta di cappuccino. Si sta seduti ai tavolini, e non al bancone (è bello prendersi il tempo che il posto merita) e anche qui, come nei caffè e nei ristoranti, si può fumare. Ci sono dehors, camerieri che prendono le ordinazioni, c’è anche chi ci gioca a carte, e nessuno brontola se (come è capitato a me) ci si mangia un biscottino portato da fuori.
Un’ultima curiosità, Chiara: in Tunisia ci sono luoghi dove servono alcolici? “Esiste un terzo spazio, che è il vero e proprio bar: nella versione popolare, è dove ci si ubriaca e ci vanno solo gli uomini; nella versione di lusso, è per i turisti che lo frequentano, nei grandi alberghi o nei quartieri più europeizzati. Ci sono anche rivendite di alcolici: le riconosci dagli uomini che ne escono con cassette di birra”.
Rosita Ferrato
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