Le sue canzonette hanno “ritornelli arguti, vivacità delle parole, dialetto fantasioso, interrogativi e declamazioni che schioccano meglio della frusta del carrettiere”- scrive Mario Soldati. Un viso da attore, volitivo, con due rughe profonde e un codino vezzoso. Ecco a voi, signori cari, un carattere veemente e ricco di contraddizioni: questo fu Angelo Brofferio, politico, poeta, riformatore, giornalista. Massone nel 1831, pare smise di partecipare alcuni anni dopo, dopo essere arrestato. Dal carattere impetuoso, era già scappato da Torino nel ’21 perché ricercato. L’accusa? Partecipazione a sommosse antimonarchiche.
Partiamo dunque dalla carriera politica. Eletto parlamentare subalpino nel 1848, queste alcune sue manovre: promuovere il diritto all’educazione laica per diffondere una maggiore tolleranza verso le varie religioni; rafforzare la libertà di stampa e il diritto di associazione; la lotta per l’abolizione della pena di morte e delle torture. Il nostro conobbe Cavour, che però non stimò particolarmente (e probabilmente la poca simpatia fu reciproca); il conte infatti disse di Brofferio: “Non ha un preciso indirizzo politico, né rispetto per le convenzioni e la moralità” e il nostro gli farà a il verso con uncommedia della maturità: “Il tartufo politico” a sfondo polemico e satirico sull’arrivismo cinico che calpesta l’aspirazione alla libertà. Anche nelle strategie di politica estera, i due avevano punti di vista differenti. Brofferio non condivideva la partecipazione del regno nella guerra in Crimea ed è, in generale, ricordato come un “isolato” in seno alla Camera. Abbiamo la testimonianza di tale Petruccelli della Gattina , politico e , guarda caso, massone anche lui(e come non credere a un uomo con un cognome così grazioso? Esule del Regno Borbonico, pare che aggiunse al cognome Petruccelli “della Gattina” per sviare le indagini- inoltre Indro Montanelli lo definì “il più brillante giornalista dell’800”). Eccola: “Considerando che Brofferio non si unì mai a nessun gruppo, tranne che nel voto e nello scopo, la sinistra resta sempre in frazioni” (e capirai che notizia, una bella novità!). Cos’altro? Diede sfogo al suo anticlericalismo nell’appoggiare la Repubblica romana del 1849 e la caduta del potere temporale del Papa, e a questo proposito affermò, in un discorso in parlamento: “I successori di San Pietro debbano possedere l’eredità di San Pietro, che è quella della povertà dell’umiltà e del sacrificio”.
Piuttosto caustico anche nei confronti dei filantropi suoi contemporanei. “Ballare per fare elemosina era …la risoluzione di un grande problema a cui neppure il comunismo aveva pensato. Ballavano i principi, ballavano i ministri, ballavano i consiglieri dello Stato” : ironizzava così il nostro sui balli di beneficenza.
Come avvocato, la sua attività forense restò segnata dalla difesa purtroppo vana del generale Ramorino che accusato di aver disobbedito agli ordini nel corso della prima guerra di indipendenza, portando inevitabilmente alla sconfitta di Novara – già, proprio “la fatal Novara”- fu condannato a morte dalla corte marziale e fucilato nella piazza d’Armi.
E l’attività di giornalista? Si occupò di letteratura, teatro, critica di costume ; nel 1835 iniziò a collaborare con la testata “Messaggero torinese” e ne divenne presto il direttore. Nel ’40 curò anche il settimanale “Il dagherrotipo: galleria popolare enciclopedica”. Fu uno scrittore prolifico, tanto che lasciò ai posteri volumi e volumi: cinque sulla storia del Piemonte dal 1814 e un’opera intitolata “I miei tempi”, ben venti tomi di vibrante memorialistica.
Brofferio scrisse di sé: “Mentre mi suona sul labbro la parola armonizzata col cuore, nessuna minaccia, nessuna violenza, nessuna forza varrebbe ad arrestarmi”. E neanche il passare del tempo, evidentemente, poiché alcune canzonette anticlericali o patriottiche vennero riprese da Gipo Farassino ai giorni nostri nel suo album “Guarda che bianca luna”.
Ma oltre a tutto ciò, il nostro fu fine e ardimentoso poeta. Nella produzione in piemontese del Brofferio, molte liriche erano legate al concetto di patria unita e giustizia sociale erano rivolte ad un pubblico borghese progressivamente emergente.
Alcuni versi? L’ultima strofa del “El liber del mond”, ad esempio, scritta nel 1831 quando fu imprigionato per motivi politici:
Con un’aria diplomàtica
guardé coj dël pòrta-feuj
con la sàussa dla polìtica
a fé ‘l bàlsam d’ògni ambreuj
l’onestà, la fede pùblica
l’han venduje al feramiù,
e a distilo ‘l ben dla patria
al lambich dij fòj-fotù.
Traduzione:
Con aria diplomatica guardate i potenti dell’economia
che con la salsa della politica preparano il balsamo di ogni imbroglio.
L’onestà, l’ideale del bene pubblico l’hanno venduti al ferrivecchi
e distillano gli interessi della patria con l’alambicco dei fessi fottuti.
Vignette di Alberto Calosso
di Rosita Ferrato e Maria Cristina Sidoni
[Pubblicato su NuovaSocietà il 29 maggio 2011]
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