L’Albania dopo il regime: democrazia e libertà. Come sono cambiati gli abitanti di questo paese così vicino all’Italia, eppure a noi così sconosciuti, dopo il comunismo feroce di Enver Hoxha? È riuscito oggi un popolo tanto legato da quasi cinquant’anni di regime comunista a riacquistare la propria individualità senza traumi? Ed è in grado di gestire questa nuova condizione senza farsi sopraffare?
Vivere l’Albania dà al visitatore occidentale un senso di vertigine. Ora che il paese ha raggiunto, da una povertà estrema, un certo grado di benessere (anche se ancora lontano dagli standard italiani) la gente si è riappropriata di un’indipendenza che si esprime con forza in molti campi della vita, e che spesso sfocia in una sorta di anarchia. È tornata la libertà di culto, la possibilità di accedere a piaceri banali come guardare la televisione italiana e comunicare con il mondo esterno, in un paese aperto, non più tagliato fuori dal mondo.
Nella terra dell’eroe Skanderbeg questa strana ubriacatura emerge immediatamente (e concretamente) in molti aspetti della vita quotidiana. Per esempio, nell’assenza completa di regole. La libertà, un diritto per quasi cinquant’anni negato, oggi si impone prepotentemente. Nell’assenza di orari, e anche nella strana mescolanza tra vita privata e lavoro, tanto da non prevedere o trovarne ingombranti i confini: e se da noi, in genere, l’orario d’ufficio è dalle 9 alle 17, là può capitare per un albergatore di ricevere una visita fiscale a mezzanotte. La voglia di lavorare (e l’autodeterminazione) tiene aperti i negozi quasi senza interruzione; fa ignorare le norme che esistono: l’obbligo del casco, il divieto di fumare in locali pubblici, il rispetto delle regole del traffico.
Per un italiano guidare in Albania è praticamente impossibile: non esistono semafori o strisce pedonali che possano limitare l’esuberanza e la voglia di impossessarsi della strada da parte di qualsiasi mezzo circolante, sia un automobile o una carrozza. Ognuno, nel massimo rispetto dell’altro, passa quando vuole. Traffico, ingorghi, intrusioni da parte di animali e pedoni non scoraggiano le macchine albanesi che, con estrema tolleranza e pazienza (mai si sente uno strombazzare come da noi o dare segni di nervosismo), sopportano code, disagi, pedoni a loro volta indisciplinati, che attraversano quando e dove vogliono.
E poi ancora, la libertà (e la disinvoltura) nella costruzione degli edifici: balaustre basse o ridicole, recinzioni inesistenti. Per arrivare addirittura all’abuso: assenza di regole anche in edilizia, un fenomeno che sembra non avere limiti e che si sta mangiando (malamente e letteralmente) gran parte del territorio.
Libertà che si esprime in tanti campi: anche nel culto. E le persone, soprattutto delle giovani generazioni, si chiedono spesso a quale religione appartenere: “Mio padre è musulmano, mia madre è ortodossa – racconta Klejdi, un giovane di 31 anni – ma io ancora non so. Per capire a quale dio rivolgermi vado a messa in chiesa e partecipo alle preghiere in moschea, qualcuno mi ascolterà”. La tolleranza religiosa esisteva in Albania prima del comunismo ed esiste tutt’ora: il patrimonio storico sopravvissuto alla furia del regime è raro, eppure chiese e moschee testimoniano una terra dove le differenze convivono serenamente, (il 70% degli albanesi è musulmano, il 20% ortodosso, il 10% cattolico) come prima di Enver Hoxha.
I giovani sono legati in qualche modo alle tradizioni, ma lanciati verso la modernità. Molti studiano, tanti hanno vissuto anche esperienze all’estero, e capita che i trentenni padroneggino l’italiano e altre lingue senza traccia di accento. Sono ragazzi alla moda, molto più maturi rispetto agli italiani, spesso molto più colti, ma con radici culturali antiche. Maschi e femmine vivono il matrimonio quasi come un obbligo: la convivenza è ancora guardata con sospetto, e anche le donne sole. “Le ragazze arrivate a 27 anni nessuno se le piglia più – racconta ancora Klejdi – soprattutto se hanno un lavoro e sono indipendenti”. La famiglia è ancora il pilastro della società albanese e i genitori stanno tutta la vita con i figli: il maschio più piccolo una volta sposato continuerà a vivere con i suoi ed erediterà la casa.
Difficile essere donna in Albania, almeno per le nuove generazioni. “La nostra società è molto patriarcale, diciamo un po’ come l’Italia degli anni Sessanta” racconta Keltona, una ragazza di Tirana. Essere indipendente è disdicevole: “Ne so qualcosa: i miei un po’ ce l’hanno con me perché ‘non sta bene’ per una donna vivere da sola; può stare con i genitori finche non si sposa e dopo con il marito”. “L’idea degli uomini è trovare una brava ragazza per sposarla, e poi la storia d’amore si fa con l’amante. La moglie è per crescere i figli e avere cura per i genitori di lui”.
Libertà sì, insomma, ma forti radici trattengono verso un passato che non vuole essere archiviato, in un’assenza di regole che forse, nel tempo, troverà una sua (giusta) misura.
di Rosita Ferrato
[Fonte testo e foto: agenzia Babelmed]
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