Gennaio 2008 – Rappresentano il 10% della popolazione. Una presenza silenziosa che dagli anni ’90 ha preso il posto dei locali nelle cave di pietra. Il sindaco Colombatto: “Italiani che vogliano lavorare non se ne trovano più. I cinesi sono una risorsa”.
CUNEO- “Questo è un lavoro da schiavi!” il signor Salvatore indica la sua manovalanza cinese, e senza troppi complimenti, aggiunge: “Li vede questi qua? Sono la rovina di questa attività. Ce ne sono troppi, lavorano a poco, e stanno mandando tutto in malora”. “Questi qua” sono gli scalpellini cinesi della Val Pellice, della provincia dello Zhejiang; una presenza silenziosa che dagli anni ’90 ha preso il posto degli italiani nelle cave di pietra. Nei paesi di Barge e Bagnolo (rispettivamente 7.800 e circa 6.000 abitanti) rappresentano il 10% della popolazione. Lavorano sodo e costano poco, e spesso lavorano in nero. Il sig. Salvatore, titolare di una piccola ditta di Barge, in fondo è dalla loro parte, ma a parole tratta li come bestie, quasi fossero invisibili. I cinesi continuano il loro lavoro in silenzio, facendo finta di non sentire, e solo quando il padrone se ne va, alzano la testa, si fermano, e (forse) mandano qualche imprecazione.
Gli scalpellini lavorano la pietra in questo modo: prima praticano dei fori nei blocchi, poi vi piantano delle barre di ferro, così da spaccarli in più parti; a questo punto, li lavorano colpendoli con dei martelli, in modo da sfaldare la roccia e renderla più sottile, riducendola a lastre. “Una volta erano i sardi a fare questo lavoro – racconta il signor Salvatore – quando sono arrivato qui avevo 16 anni, e anche allora, come oggi, quelli del posto approfittano di chi viene da fuori; sanno che loro stanno magari anche in 10 in una casa, e alzano gli affitti”. E l’integrazione con la gente del posto, come va? “In Comune le diranno che va tutto bene – sibila Salvatore – ma questa gente qua ci farà fuori tutti!”
Nel bar centrale di Barge la clientela è come divisa in due: gli avventori “normali” e giovani cinesi. Questi, poco più che adolescenti, hanno capelli e vestiti alla moda, parlano il loro dialetto e stanno tra loro, davanti alle macchinette del video poker. Intanto i loro padri, vestiti poveramente e in bicicletta, raggiungono le cave.
“Gli abitanti di questo paese – racconta il sindaco di Barge Luca Colombatto, area Forza Italia – hanno diverse opinioni: alcuni, come me, vedono la differenza culturale e nazionale come una risorsa, e come modo per conoscersi; altri invece mettono in evidenza solo gli aspetti negativi, per esempio il fatto che alcuni giovani cinesi manifestano con atti vandalici o con azioni delittuose come lo spaccio di droga”. “Perché il problema – prosegue – non sono i cinesi di prima generazione venuti per lavorare, ma quelli arrivati qui a 9-10 anni, con una retro cultura cinese: hanno subito una violenza tremenda quando sono passati dalla società cinese alla nostra società. Oggi fanno le medie e hanno grossi problemi di integrazione sociale. Anche a livello di rendimento: o sono molto bravi o una catastrofe. I giovani che si “mescolano” con gli italiani sono quelli che si sono conosciuti alle elementari, da bambini”.
Barge è un paese “atipico”, ribadisce il Sindaco, e per capirlo basta fare una passeggiata. Ai piedi del Monviso, chiamato il “re della Pietra”, si incontrano cinesi di tutte le età. “La domenica pomeriggio si vedono solo di loro –racconta ancora Colombatto – il maschio davanti, la donna un metro indietro, con i figli. La sera i ragazzi escono, si ritrovano a casa di uno o dell’altro, o al bar; amano molto il gioco, le macchinette. La comunità cinese ha anche un suo negozio di alimentari, una bottega con grandi sacchi di riso, e compra solo lì. In generale, gli uomini sono impegnanti nella lavorazione delle pietre, mentre le donne nella raccolta della frutta, delle mele o delle pesche, arrivano i pullman, portano nella zona Saluzzo.”
Ma Sindaco, e l’immigrazione clandestina? “È un problema reale e presente. È anche vero però che funerali cinesi non ne ho mai visti, se non per decessi violenti. Sono persone giovani, vengono dalla Cina per lavorare. Quando raggiungono una certa stabilità economica, ritornano a casa”.
di Rosita Ferrato
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